L’Italia è senza dubbio un paese di grande storia, ricco di cultura e tradizioni assimilate nel corso dei secoli dalle popolazioni che l’hanno dominata o semplicemente vissuta lasciando segni indelebili del loro passaggio; ancora oggi ne vengono riportati alla luce alcuni ‘tangibili’, come antiche reliquie o resti di oggetti appartenuti ad epoche lontane, ed altri che invece non sono visibili, ma che sono invece ben presenti nella nostra cultura e nel nostro linguaggio.

La poesia non è altro che una forma d’arte letteraria che si esprime in versi, cioè attenendosi a precise leggi metriche; pare sia addirittura nata prima della scrittura vera e propria, e che siano stati greci e romani a comporre i primi versi, basati sull’alternanza tra sillabe brevi e sillabe lunghe, ovvero sull’ esametro dattilico. Dagli elementi a disposizione, ed in seguito a moltissimi studi e ricerche, si è giunti alla conclusione che i primi poemi in versi risalgono al secondo millennio a.C, e che siano stati gli aedi (antichi cantori greci) a comporli, poi in breve si passò alla elaborazione orale cosiddetta omèrica.

Differenze tra poesia antica e moderna

Anticamente la poesia si esprimeva esclusivamente in forma orale, infatti non ci sono molte testimonianze scritte dei primi versi composti avanti Cristo; fu soltanto nell’undicesimo secolo che i dialetti volgari parlati iniziarono ad essere trasferiti anche su carta, essendo praticamente ‘promossi’ a vera e propria lingua letteraria, e favorendo inoltre lo sviluppo di nuove forme di poesia. Dante e Petrarca furono in pratica i precursori di nuovi stili poetici che fondavano le loro basi sull’esaltazione del dialetto, e la poesia in generale diventò in breve tempo mezzo di piacevole intrattenimento letterario.

Completamente differenti sono invece i concetti di letteratura e poesia moderna, e questo lo si capisce semplicemente leggendo; scompaiono definitivamente tutti i canoni ed i vincoli metrici e ci si esprime liberamente, scrollandosi di dosso antichi schemi obbligati per dare più spazio alla forma di espressione più pura e sentimentale. Niente più rime e versi sciolti, meno poesia e più prosa, perché d’altra parte è quello che i lettori chiedono.

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Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti italiani

Il celebre poeta, filosofo, e scrittore di Porto Recanati è stato senza ombra di dubbio uno dei personaggi più importanti della letteratura mondiale, nonché forse il maggior poeta in assoluto del secolo XIX. Accanito sostenitore del classicismo in giovane età, dove si lasciava rapire ed ispirare dai grandi classici greci e romani, Leopardi raggiunse la sua maturità artistica quando scoprì il fantastico mondo del romanticismo, diventandone in breve tempo uno dei maggiori esponenti.

Il vero peccato è che si sia spento molto prematuramente ad appena 39 anni di età (non fece neppure in tempo a compierli) a causa di uno scompenso cardiaco dovuto ad una malattia polmonare patita durante l’epidemia di colera a Napoli, perché altrimenti ci avrebbe di certo lasciato molte più testimonianze del suo indiscutibile genio letterario e poetico. A parte il patrimonio artistico che Leopardi ci ha lasciato in eredità, sua è anche la paternità di alcuni neologismi presenti oggi su tutti i vocabolari italiani; incombere, fratricida, improbo sono per noi termini abbastanza forbiti e sofisticati, cosa che fa un certo effetto se pensiamo che lui li utilizzò per la prima volta nel 1824!

Leopardi e le sue crisi depressive

Elemento costante dell’opera leopardiana è certamente stato il suo proverbiale pessimismo; gli studiosi hanno suddiviso addirittura in 4 fasi il pessimismo leopardiano e cioè: pessimismo individuale, storico, cosmico, ed eroico. La prima fase è strettamente collegata ad alcune gravi patologie fisiche di cui soffriva, all’ambiente familiare abbastanza ostile in cui viveva, a storie di affetti personali, la seconda invece parla di un originario stato di felicità dell’uomo primitivo nella preistoria, condizione poi cambiata con l’uso della ragione e col progresso.

Fu in un secondo momento poi, ovvero quando si dedicò a riflettere tutto ciò che girava intorno al dolore umano, che Leopardi giunse alla cosiddetta fase del pessimismo cosmico, fase in cui iniziò a convincersi che l’infelicità è legata strettamente con la vita dell’uomo, che quindi non può fare altro che soffrire per tutta la sua esistenza. Nella fase del pessimismo eroico invece, il poeta ripercorre la strada della ragione, riconoscendole il potere di saper riunire gli uomini in fraterna solidarietà, per riuscire a sconfiggere il dolore, o quantomeno renderlo più sopportabile.

A Silvia

A Silvia è molto probabilmente il più famoso poema lirico composto da Giacomo Leopardi, e fu ultimata nel Settembre del 1828, quando cioè lo scrittore di Porto Recanati raggiunse i trent’anni di età. Sembra che il personaggio di Silvia possa identificarsi in una certa Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia Leopardi prematuramente scomparsa a causa di una brutta tubercolosi quando aveva da poco passato i vent’anni di età.

Leopardi ricostruisce fedelmente il quadro storico in cui è incentrata l’opera, rivivendo l’incanto degli stornelli cantati da Silvia durante le giornate in cui era impegnata a svolgere lavori domestici nella mansione nobiliare del padre, tristemente ignara della sorte alla quale andava incontro. Non esistevano parole per esprimere quello che il poeta aveva nel cuore ogni volta che ascoltava Silvia canticchiare, quasi come se volesse partecipare emotivamente sia alla sua felicità per una giovinezza serena ed ottimista verso il futuro, sia al dolore ed alle sofferenze a cui lei, senza saperlo, andava incontro.